Produzione e Commerci di Altabrina
Altabrina è un terra ricca e poco sfruttata, forse proprio a causa di ciò che spontaneamente fornisce ai propri abitanti. Le sue foreste sono ricche di cacciagione, i suoi fiumi brulicano di pesce, come pure il mare che i brinnici solcano con passione a bordo di pescherecci o delle loro lunghe navi da guerra. Le montagne, specie gli
Arcigni presso la sorgente del
fiume Orso, sono ricche d’oro che si riversa nel fiume stesso e viene raccolto dai locali senza troppo sforzo. Che dire poi delle magnifiche sequoie di
Altea, alte decine di metri, esse sono gli alberi da legno più rinomati nelle Terre Spezzate poiché forniscono il
ferrolegno che, resistente come il ferro, è il migliore materiale da costruzione per imbarcazioni che si trovi in circolazione. A parte l’esportazione del legno Altabrina non è propriamente una terra di commerci. Sia verso l’esterno che al proprio interno i mercati sono scarsi e i mercanti pochi e prevalentemente stranieri. Gli indigeni non amano scambiare oggetti e beni in generale, preferiscono razziarli o conquistarseli con la caccia. L’agricoltura non è un’attività diffusa, spaccarsi la schiena nel lavoro della terra è considerata un’occupazione disonorevole degna degli uomini delle terre calde e inadatta ad un vero Brinnico. Ciononostante, la terra è fertile e generosa e i pochi che, considerati deboli nell’ottica brinnica, si sono dedicati alla coltivazione hanno ottenuto grandi successi in questa attività; tanto che coloro che ad Altabrina si occupano più spesso di commerci sono quelli più in basso nella scala sociale.
Un discorso a parte vale per l’isola di
Gargiarocca e l’omonima città che si trova nella sua baia più profonda. I Gargiari o “
figli del Falco”, come amano definirsi, sono pirati e razziatori indefessi, oltre che abili navigatori e pescatori. Solo da qualche anno hanno infatti accettato di percepire un tributo dalle navi di passaggio piuttosto che depredarle completamente. Solo a nord della grande catena montuosa, oltre il
Passo dell’Aurora, si trova una terra desolata e infida. La stretta e gelida piana dove sorge il villaggio di
Torre Veglia non è quasi coltivabile, solo i tuberi vi crescono e il
clan dell’Orso Bianco vive di caccia e dei tributi degli altri clan, che riceve come ricompensa per la vigilanza che presta contro le scorrerie dei diavoli dei ghiacci, i
Diurni.
A causa dello scarso sviluppo dei commerci brinnici, le strade di collegamento all’interno della regione raramente vengono battute e tenute in condizione di poter accogliere un gran flusso di carri. La stessa
Strada del Re non arriva fino a queste terre, ma si ferma a
Roccastrada per poi continuare nella
Via del Nord, che prosegue fino alle città di
Bassorivo ed
Altea seguendo la
Valle dell’Orso, e si insinua poi nel
Bosco Alto fino a raggiungere
Bianco Rifugio. Questa strada, pur essendo la principale via brinnica, trafficata e tenuta in buono stato dai Principi, è in realtà poco più di una mulattiera se paragonata alle grandi vie carovaniere del sud, specialmente nel suo ultimo tratto.
Da Torre Veglia a Bassorivo, seguendo il corso del Riograsso, si snoda la Strada Nera, mentre da
Bassorivo a
Riparossa , la via che attraversa la
Selva Fatata è nota come
Strada Fronda .
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[1] "
- ^ sostiere Ser Pinco Pallino, cavaliere valniano